Lo sguardo e la cura. Esperienze, riflessioni e prospettive per lo “Zerosei”

Nella collana RicercAzione è uscito recentemente questo nuovo titolo, a cura di Diana Penso e Roberta Sambo.

Un libro collettivo, nato dalla collaborazione tra educatori, educatrici di nido e insegnanti di scuola dell’infanzia, provenienti da varie realtà italiane, che svolgono attività di ricerca all’interno del Gruppo Nazionale Zerosei del Movimento di Cooperazione Educativa e di cui Diana Penso è responsabile.

Con piacere ospitiamo la presentazione di una delle curatrici:

Il testo, organizzato in tre sezioni, racchiude già nel titolo i temi fondamentali dell’approccio pedagogico MCE e si propone come prezioso contenitore, una scatola di cui far memoria di vissuti e riflessioni che hanno caratterizzato un biennio molto particolare e assolutamente inedito: ascolto, sguardo, cura, relazioni.  Tutti temi “portanti” della pedagogia e della didattica MCE.

La chiusura improvvisa e repentina di nidi e scuole nella primavera del 2020 e le riorganizzazioni imposte dai decreti ministeriali anti Covid nell’anno scolastico successivo, hanno determinato uno shock iniziale e una necessaria e rapida revisione delle modalità di lavoro. Era necessario cambiare le modalità, e altrettanto fondamentale mantenere legami, ascolto e cura delle relazioni con bambine/i e con le  loro famiglie.

Le domande, i timori, le riflessioni che hanno attraversato tutti i gruppi di lavoro nei contesti educativi 0-6 trovano una descrizione nella prima sezione del testo, Lo sguardo e la cura: era necessario ri-pensare e ri-organizzare contesti educativi in cui la distanza permettesse comunque di garantire i legami, cercando di rispondere ai bisogni di tutti/e, senza interrompere i percorsi di lavoro intrapresi con bambini/e con bisogni educativi specifici.

Un cambiamento che ha dovuto rimodellarsi facendo appello a risorse e modalità offerte dal digitale, per molte/i inconsuete, talvolta quasi sconosciute, forse osteggiate. Tuttavia una risorsa e uno strumento potente, anche in termini cooperativi, che ha offerto possibilità in una chiave e in un linguaggio contemporaneo ma che ha posto in risalto, ancora una volta, nei mesi di restrizioni acute della pandemia, le molte forme di povertà e difficoltà delle famiglie. Uno strumento che ha messo in contatto educatrici/educatori, maestre/i e famiglie in maniera inedita, entrando di fatto negli spazi di vita privati di ciascuno, permettendo anche sguardi su relazioni e realtà familiari talvolta difficilmente leggibili nei normali contesti educativi.

Nel racconto delle esperienze della sezione I fili e le trasformazioni emerge l’urgenza iniziale di “riparare” il distacco improvviso dovuto alla pandemia mettendo in campo strumenti “storici” della pedagogia MCE, come la corrispondenza per raccontare e condividere le esperienze e i disagi del momento, o le scatole per raccontare, fare memoria, simbolizzare un delicato e fragile vissuto emotivo dato dalla forzata clausura e scomparsa delle relazioni.

Il volume si chiude con una terza parte intitolata Oltre i confini: prospettive future.

È patrimonio comune, appreso nel corso della pandemia, che ci sono nuovi ponti da costruire e attraversare, anche con l’approccio agli strumenti e ai linguaggi contemporanei digitali, e con una visione ben tracciata dai recenti e fondamentali documenti ministeriali data dalle Linee Pedagogiche  per Sistema Integrato zero sei e dagli Orientamenti nazionali per i Servizi Educativi per l’Infanzia. Tutti strumenti preziosi da utilizzare ora e in futuro.

Diana Penso

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La scuola pubblica per ricostruire legami di solidarietà e democrazia

Il 20 Ottobre dalle 10.30, presso il Dipartimento di SCIENZE della FORMAZIONE, Aula Volpi, Università di Roma Tre, si svolgerà la giornata organizzata dal MCE, AIMC, cidi, Proteo e Università Roma3 «La scuola pubblica per ricostruire legami di solidarietà».

Si potrà partecipare sia in presenza che in streaming, su Teams al link urly.it/3q8yv nella locandina. Prenotazioni al link urly.it/3qdjg

Ecco il programma completo:

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Si è spento un faro, ma la luce resta

Adriana Querzè in Burkina Faso, con la pedagogia Freinet

Modena, 17 maggio 2022 – Ci ha lasciati Adriana Querzé , insegnante, dirigente scolastica, formatrice e per dieci anni, tra il 2004 e il 2014, assessora all’Istruzione del Comune di Modena. Ha dedicato la vita alla scuola, con grande attenzione per i più fragili. Tanti docenti la ricordano con affetto e riconoscenza.

Adriana Querzè è stata un faro per molti docenti modenesi ,e non solo. 
Donna di grande cultura , da sempre nei corsi di formazione che conduceva, ci ha trasmesso l’apertura alle differenze , l’importanza dell’ascolto, la necessità di sospendere il giudizio.
Ha saputo dare, a noi che  per primi ci trovavamo ad insegnare  agli alunni disabili nella scuola primaria, utili indicazioni pedagogiche e didattiche , mostrandoci come l’inclusione dovesse necessariamente passare attraverso la valorizzazione delle differenze, delle peculiarità e dei talenti di ogni singolo alunno.
Allo stesso modo ci ha sostenuto quando ci siamo trovati ad  occuparci e preoccuparci dell’accoglienza degli alunni figli di migranti.
Ci ha suggerito l’utilizzo delle fiabe, come ponte tra i popoli e le diverse culture, un ponte del tutto naturale per i bambini; ci ha invitato a dare spazio al racconto orale e alla narrazione reciproca, per esaltare le somiglianze, più che le differenze.
E lo ha fatto con la delicatezza e la grande lucidità che l’hanno sempre contraddistinta, forte dei valori che ha voluto condividere con noi. 
La scuola di Modena ti deve molto, grazie Adriana.
 
Antonella Bottazzi docente di scuola primaria
 

Perché leggere le storie di Giufà?

Le storie di questo personaggio giramondo ci permettono di avvicinarci a popoli e culture molto diversi dalla nostra, scoprendo però, forse con sorpresa, che oltre a tante differenze che ci dividono, ci sono tante somiglianze che potrebbero unirci.
Adriana Querzè e Arturo Ghinelli, autori del libro

Un’amica, una collega, una formatrice

Adriana era un’amica, una collega, una formatrice, una mente lucida, che ha trasmesso a tutti noi una visione chiara, anche se complessa, del mondo della scuola e della società. Ci ha dato  sempre una speranza di poter cambiare, in meglio, la scuola e il mondo. Lo ha fatto qui nella nostra realtà, ma si è spesa anche per il miglioramento delle scuole in Burkina Faso, in collaborazione con l’ONG Bambini nel Deserto. Prima appoggiando la pubblicazione di fiabe “Italia Burkina andata e ritorno”, poi promuovendo una ricerca sulle difficoltà di apprendimento, seguita da una sperimentazione didattica di cui ha curato buona parte dei contenuti teorici. Oltre a noi, la piangono diversi colleghi insegnanti del Burkina Faso, che hanno conosciuto la sua umanità e competenza in occasione della prima formazione nel 2012. Ma il vuoto che ci lascia sarà riempito da ciò che siamo e che sappiamo, anche grazie a lei.
Bruna Montorsi docente di scuola primaria
Fiabe nate dalla corrispondenza Italia- Burkina Faso tra alunni della scuola primaria
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Per conoscere la scuola “moderna” di Célestin Freinet

In occasione del webinar MCE che si terrà sulla piattaforma zoom lunedì prossimo, 23 maggio, abbiamo rivolto alcune domande a Enrico Bottero, traduttore, per MCE, della nuova edizione italiana della Scuola “moderna”. Guida pratica per l’organizzazione materiale, tecnica e pedagogica della scuola “popolare”, Asterios, Trieste 2022, apparso di recente in libreria.

Gentile professore, in merito a questo libro, da Lei recentemente tradotto dal francese, quali ritiene siano i punti essenziali di cui un lettore italiano deve tener conto nella lettura?

La scuola “moderna”, testo scritto durante la seconda guerra mondiale in un periodo, per Freinet, di immobilità forzata, è una sintesi  efficace dell’organizzazione della classe cooperativa. Prima di allora, spinto dall’esigenza dell’azione, aveva scritto articoli sulle esperienze delle diverse tecniche.  Solo durante la guerra scrisse un libro che le presenta tutte insieme grazie alla descrizione di una giornata nella scuola. Di qui l’importanza del volume che abbiamo pubblicato. Per comprenderla è però necessario contestualizzare distinguendo tra ciò che è inevitabilmente datato e ciò che  possiamo considerare di attualità.

Iniziamo dal primo aspetto. Soffre inevitabilmente dell’usura del tempo la concezione provvidenziale della storia che emerge fin dalle prime pagine (la certezza del prossimo avvento della società socialista).  È pur vero che dobbiamo rivendicare un rapporto tra pedagogia e politica, oggi pericolosamente ignorato (il che vorrebbe dire legittimare lo statu quo), ma non abbiamo più quelle “certezze”. Non abbiamo più una teodicea, la certezza di un’utopia realizzata. Abbiamo ancora una speranza ma, fortunatamente, meno certezze. Un altro aspetto legato al tempo trascorso è l’utilizzo di tecniche e materiali ormai desueti. Oggi non si usano più la tipografia o il ciclostile né si utilizzano le bandes enseignantes. Abbiamo nuovi strumenti e nuovi materiali. Dobbiamo utilizzarli al meglio nello spirito della scuola “moderna”. Abbiamo anche una società ben diversa. Quando scriveva Freinet c’era una scuola chiusa e impermeabile alla vita. Oggi c’è ancora chiusura ma la vita fuori dalla scuola è diversa perché molto  più condizionata dal consumismo. Che cosa vuol dire oggi aprire la scuola al mondo, alla vita? L’apertura alla vita va pensata per evitare di diventare strumenti di logiche mercatistiche (a volte richieste dagli stessi genitori). La scuola deve essere un luogo in cui i ragazzi, affinché possano apprendere a cooperare, siano protetti dalla pervasive logiche competitive del moderno “capitalismo pulsionale”.

Detto questo, la grande attualità del libro sta nel fatto che mette al centro dell’azione dell’insegnante l’organizzazione materiale del lavoro. Se vogliamo superare la pedagogia tradizionale, dice Freinet, dobbiamo agire sull’organizzazione del lavoro. Una sua frase  dovrebbe farci riflettere: «L’efficienza intellettuale, morale e sociale della vostra educazione non è solo condizionata, come ci hanno fatto credere per troppo tempo, dalla personalità dell’educatore o dal potere magico di un metodo. L’efficienza dipende dal materiale utilizzato, dalla sua perfezione e dall’organizzazione tecnica del lavoro».

Questa affermazione è agli antipodi della mentalità idealistica (ancora diffusa in Italia, più di quanto non si creda) secondo cui sarebbero la genialità dell’educatore, la sua capacità empatica, e magari “seduttiva”, a fare la differenza. Se vogliamo cambiare la scuola, dice Freinet, «dobbiamo smettere di contare sui casi eccezionali», (anche se lodevoli) magari, aggiungo io, facendone delle icone:  «…cerchiamo strumenti, tecniche e un’organizzazione che consentano i migliori risultati educativi con insegnanti normali» i quali dovrebbero comunque credere nell’utilità delle tecniche e nel progetto pedagogico che le motiva.

Un altro aspetto importante del libro, anche se ancora sotto traccia («Cooperazione Educativa», n. 2, 1963), è la consapevolezza che la pedagogia proposta da Freinet non sia solo un insieme di tecniche ma un vero e proprio sistema. L’originalità di Freinet, non sta nelle singole tecniche (quasi tutte mutuate da altri educatori) ma nell’aver costruito una loro sintesi coerente. Coerente con che cosa? Con alcuni principi di fondo: si parte dall’espressione libera e creativa dei ragazzi e dalla comunicazione  (si fa qualcosa per qualcuno, non compiti “scolastici”)  e, con l’occasione, si  lavora per  giungere agli apprendimenti (pratici e cognitivi). Freinet ha indicato, concretamente, la via di una pedagogia degna di questo nome: conciliare l’esigenza di finalizzazione (dare un senso a ciò che si fa a scuola) con quella di formalizzazione (acquisire saperi e competenze pratiche e intellettuali).

I due fattori qui nominati che segnano l’attualità del libro (centralità dell’organizzazione e natura sistemica della pedagogia Freinet) indicano una scelta: la pedagogia Freinet (che non è “metodo”) deve evolversi (anche con nuove tecniche) ma senza modificare la sua struttura di fondo, i suoi principi. Se la cooperazione tra insegnanti ha luogo condividendo pratiche più che teorie, le tecniche Freinet sono un punto di riferimento essenziale. Non bisogna ogni volta reinventare l’ombrello. Se c’è già un buon ombrello che ci copre insieme dalla pioggia, partiamo da quello, miglioriamolo e arricchiamolo insieme. È anche questo un suggerimento di Freinet.

Sappiamo e apprezziamo i corsi di formazione che sta tenendo per insegnanti di scuola primaria. Quale, a suo avviso, è per i docenti di oggi l’attualità di questo “maestro” tanto apprezzato nel Movimento di Cooperazione Educativa?

Credo che l’attualità di Freinet (ma vorrei qui ricordare l’importante contributo della moglie Elise, troppo spesso misconosciuto) tra i maestri e le maestre di oggi consista proprio nella concretezza e realizzabilità delle tecniche. Gli insegnanti che, insofferenti della pedagogia tradizionale, cercano nuove vie trovano nella pedagogia Freinet e nelle tecniche una proposta praticabile per dare concretezza alle idee che li/le animano. Per questo sono importanti i momenti di ricerca/formazione. Non si tratta di “insegnare agli insegnanti” le tecniche che dovrebbero “applicare”, ma di condividere esempi attuali di organizzazione della classe cooperativa in modo che ciascuno possa sperimentare la sua via, tenendo conto delle condizioni materiali e umane del suo contesto. Le nuove esperienze vanno poi documentate, condivise e discusse insieme (in questo modo arricchite ed eventualmente corrette). Lavorare insieme sulle tecniche vuol dire cooperare concretamente tra insegnanti. È quello che molti di loro stanno cercando di fare, spesso utilizzando le piattaforme web che permettono di comunicare anche con i colleghi lontani. Solo un adulto capace di cooperare realmente con gli altri (dunque disposto ad accogliere le eventuali critiche e a modificare le proprie azioni, autoregolandosi) può promuovere un gruppo cooperativo con i suoi ragazzi. Lavorando con gli/le insegnanti mi rendo conto di quanto i molti impegni a cui oggi sono vincolati (anche grazie ad alcune derive dell’aziendalismo scolastico) rendano più difficile dedicare tempo alla documentazione e alla cooperazione con colleghi “freinetiani” che spesso lavorano in scuole lontane. Si tratta comunque di una via obbligata. Non bisogna demordere se vogliamo dare un futuro alla pedagogia cooperativa e “popolare”, a una scuola che sia democratica.


Ci può indicare, in breve, qualche esempio di condivisione e “uso” delle tecniche Freinet da parte di qualche docente nella sua pratica professionale quotidiana?

Si potrebbero fare molti esempi. Nel MCE oggi ci sono molti insegnanti che stanno lavorando con le tecniche. C’è chi è solo agli inizi e chi ci lavora da molti anni. Molto interesse, ad esempio, suscita il piano di lavoro. Io, tuttavia, non partirei da lì. Il piano di lavoro è una tecnica che ne riassume in sé molte altre (testo libero, attività di ricerca, preparazione di conferenze, lavoro sugli schedari di lingua e matematica, ecc.).  Se non vogliamo che si riduca ad essere una risposta alla domanda  di soluzioni per individualizzare le abilità di lingua e matematica attraverso esercizi prima sarebbe necessario introdurre alcune tecniche di vita. Molti insegnanti, giustamente, propongono e sperimentano in classe prima di tutto il testo libero, a cui seguono le tecniche di comunicazione (giornale, corrispondenza, radio, ecc.). Si rendono conto che il piano di lavoro senza solide basi nel metodo naturale non avrebbe alcun senso. Le classi che lavorano già con più tecniche arrivano naturalmente a costituire la cooperativa (o consiglio di cooperativa), un’istituzione di mediazione in cui si discutono proposte per la vita e il lavoro della classe, oltre a eventuali conflitti sulle attività e la loro gestione. Per operare, questa “istituzione” richiede però che si stia già lavorando con le tecniche. Se gli spazi di parola non hanno a disposizione attività comuni da organizzare si finisce per parlare solo dei problemi di relazione. Non va dimenticato che nella pedagogia Freinet la mediazione delle relazioni ha luogo attraverso l’impegno dei ragazzi in un lavoro comune.

A cura di Giuliana Manfredi

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Freinet nella scuola di oggi

Il 23 Maggio alle 17,30 durante il nostro webinar ci confronteremo su un libro che da molti anni aspettava una nuova edizione italiana: La scuola “moderna“. Guida pratica per l’organizzazione materiale, tecnica e pedagogica della scuola “popolare”. Un’occasione di dialogo, a cui partecipare per comprendere che Freinet ha ancora molto da dirci.

L’ iscrizione è possibile fino al 22 Maggio compilando il modulo al seguente link: https://forms.gle/GLAnyAzTEyUQKJdaA

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Rami di uno stesso albero

“Solo la narrazione consente di costruirsi un’identità e di trovare un posto nella propria cultura. Le scuole devono coltivare la capacità narrativa, svilupparla, smettere di darla per scontata.” (Jerome Bruner, La cultura dell’educazione) 

“Non si può affrontare la fatica del conoscere se non si sente che il proprio pensiero è degno di essere accolto e ascoltato.” (Franco Lorenzoni, Rami di uno stesso albero)

Leggendo questo libro incontriamo l’esperienza di  un nutrito gruppo di insegnanti ed educatori di Modena che ricerca intorno alla narrazione orale dal 1999.

Una ricerca ben documentata che affonda le sue radici nel principio che ognuno “può  riflettere su grandi temi solo quando  ha consapevolezza che il proprio pensiero conta”. E il libro ci porta a veder come costruire contesti capaci di far vivere e durare un ascolto attento, per garantire il diritto alla parola anche a chi possiede meno strumenti linguistici o culturali, ad esempio gli stranieri, o i disabili. 

Il cerchio narrativo: silenzio e ascolto.  Un luogo protetto, che nasce su un patto esplicito: “nessun giudizio da parte dell’insegnante e dei compagni, ascolto reciproco e sincerità, in primo luogo con noi stessi.” 

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«Qualsiasi conoscenza è narrazione»

Riportiamo di seguito la registrazione del webinar Rami di uno stesso albero andato in onda sulla nostra piattaforma Mercoledì 15 Dicembre, per permetterne l’ascolto a chi lo avesse perso e a chi volesse riascoltarlo.

Nel video Antonella Bottazzi, autrice del libro, e Franco Lorenzoni ci raccontano la lunga strada fatta insieme nello sperimentare la narrazione come potentissimo strumento di conoscenza di sé e del mondo.

Raccontano le loro esperienze, il cammino che li ha portati a comprendere le regole fondamentali da porre alla base di questa pratica per garantire uno spazio di autentica democrazia: il cerchio narrativo. Un luogo protetto, in cui tutti possano esprimersi senza paura, che migliora in ciascuno la capacità di parlare e di mettersi in relazione.

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