Come mi vedo? Come mi sento?

Dato l’ormai diffusissimo utilizzo dello smartphone gli adolescenti usano molto le immagini fotografiche, ritratti singoli, di gruppo, selfie; e fanno molto uso delle applicazioni per migliorare o modificare i tratti del volto. Seguono dei criteri estetici “nuovi”, ma più che mai omologati. Esistono canoni di bellezza decisamente stereotipati nei social, nella pubblicità, in televisione e questi vengono perseguiti anche a costo di notevole impegno di tempo e di sacrifici.

Le applicazioni che modificano i tratti del viso sono sostanzialmente programmi di fotoritocco e sovrappongono in modo meccanico un modello, uno stile estetico, al volto reale considerato …insoddisfacente. Rendono tutte le facce più colorate, più lisce, più toniche ma riducono individualità, espressione e vivacità; umiliano addirittura la vivezza dell’espressione personale (che nell’identità è forza) e sviliscono la spontaneità. Occorrerebbe invece dare valore alla specificità e all’unicità di ciascun volto, di ciascun corpo e di ciascuna personalità.

Nel libro “Sentirsi belli, sentirsi brutti” emerge la necessità di trasmettere questo messaggio: “Non lottare per cambiare a tutti i costi, parlane, reagisci, crea una lista delle cose positive che vedi in te, cambia quello che vuoi cambiare ma accetta i complimenti che ti vengono fatti, non lasciarti criticare passivamente, rispondi alle osservazioni e soprattutto non cominciare tu stesso con l’autodenigrarti. E sappi comunque che gli altri sono insicuri quanto te”.

Occorre dialogare con i ragazzi, metterli in dialogo tra loro, e la scuola è un luogo d’incontro importante, ideale per avviare questo lavoro.

Ritengo che questo e-book offra alcuni esercizi, annotazioni e proposte di animazione didattica che hanno al centro in un preciso assunto, ovviamente supportato da studi e ricerche: la buona convivenza con sé stessi e con gli altri si può insegnare… e si può imparare.

L’autrice partendo da alcuni riferimenti teorici, vuole fornire una traccia, un canovaccio di percorso, o meglio, suggerimenti per la realizzazione di percorsi diversificati scelti dall’insegnante in modo che siano adatti ad un certo gruppo-classe.

Questo non è un libro “concluso”, ma un laboratorio aperto a commenti e nuovi spunti per continuare a lavorare insieme.

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Le gocce di Giancarlo 1.

Nel libro Il testo libero di matematica di Paul Le Bohec la matematica non è vista come un sapere cui ci si può solo adeguare, ma è considerata nella sua funzione educativa, come contributo alla formazione del pensiero. «A fianco di un itinerario didattico, rigidamente seguito da generazioni, potrebbe configurarsi, svolgersi, affermarsi un percorso euristico che corrisponda meglio alla natura dei bambini» (P. Le Bohec).

Nel testo viene proposto il metodo naturale il cui punto di partenza e le invarianti sono la messa in gioco di tutto l’essere umano, la globalità della persona, il rispetto della cultura del bambino, l’ascolto, la valorizzazione della creatività, le relazioni nel gruppo, un’impostazione coerente del rapporto fra i soggetti, con le loro esigenze di apprendimento e l’organizzazione didattica, in cui le prime costituiscono le condizioni della seconda e non viceversa.

L’avvio delle sedute di matematica: «All’inizio io mi preoccupo molto poco di questa disciplina, io ho cura soprattutto di sottolineare il comportamento dell’essere umano nell’apprendimento.»

Le creazioni: di che natura sono? quale può esserne la fonte? All’inizio, «il desiderio di esprimersi profondamente e di impadronirsi di tutte le possibilità offerte da questo linguaggio.[….] Dalla matematica si può sfociare nella poesia, nella psicologia, nella coreografia, nella politica e in   mille cose ancora. E reciprocamente.»

I fenomeni di gruppo: «Fa parte del nostro lavoro scoprire ciò che avviene in classe»: chi parla con il vicino, chi protesta perché vede preferita la soluzione di un altro, chi si serve di un altro per esprimere una propria idea, chi cerca un alibi o un pretesto, chi si allea. «Dall’osservazione dei diversi comportamenti emergono indicazioni fondamentali per l’insegnante». «Il gruppo gioca un ruolo considerevole. Anzitutto può essere un luogo di parola, un luogo di accoglienza, un luogo dove esprimere liberamente delle ipotesi, senza temere giudizi svalorizzanti.»

La complessità: «La mente umana di fronte al caos che dà incertezza tenta di trovare delle strutture che le permettano di dominarlo almeno in parte […] Una classe è un complesso di individui complessi. Essi sono talvolta così differenti che sembra impossibile farli lavorare insieme. l’insegnante deve prendere in carico la complessità delle situazioni e delle persone.»

D’altra parte, segnala Le Bohec, è Freinet che ci ha immesso nella complessità, avviato al superamento delle eccessive semplificazioni. E troviamo conferme nelle teorie di Popper e di Bachelard.

Il metodo naturale di apprendimento si basa su sei  elementi: -la pratica personale -i fenomeni di gruppo -i punti di riferimento personali e collettivi nelle costruzioni matematiche -le specificità fisiologiche di ciascuno -le particolarità psicologiche -le circostanze -le varianti.

E poi: molta matematica; la matematica intuitiva, la matematizzazione delle situazioni, il gioco matematico, il tentativo sperimentale, l’attribuzione di significato alle creazioni, la simbolizzazione, la pratica personale elemento indispensabile nella formazione docente,…

Le Bohec ci affida un interrogativo: «Quale avvenire per questa idea di metodo naturale? Sta, dice lui, ai maestri praticiens cercare, esplorare, sperimentare.»

G.C.

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L’avventura di scrivere storie insieme

Alessia oggi è arrivata a scuola con un libretto, una serie di fogli pinzati assieme contenenti alcune storie scritte da lei. Ce lo mostra all’interno del cerchio che facciamo al mattino, in cui ognuno può condividere con gli altri ciò che vuole.

Martedì 19 gennaio.

Alessia oggi è arrivata a scuola con un libretto, una serie di fogli pinzati assieme contenenti alcune storie scritte da lei. Ce lo mostra all’interno del cerchio che facciamo al mattino, in cui ognuno può condividere con gli altri ciò che vuole.

Leggo le sue storie ai compagni: sono molto brevi, incomplete, nella maggior parte dei casi si tratta più che altro della presentazione di due personaggi a cui non segue una vera e propria trama. Ma siamo in una classe prima e scrivere una storia è un’operazione complessa, perciò quello che Alessia ci ha mostrato è in realtà molto valido e interessante.

Comincio a pensare molto velocemente. Per oggi avevo preparato un’attività sulla lettura, ma il libretto di Alessia mi pone un problema: lasciare andare o cogliere un’occasione? Tengo molto al lavoro sulla lettura che ho preparato, ma mi sono già lasciata sfuggire una volta un’opportunità simile, quando qualche mese fa Sara aveva portato in classe una sua storia. L’avevo letta ai compagni, ma poi ero andata avanti per la mia strada: la scuola era iniziata da poco e non mi ero sentita pronta a cogliere l’occasione. No, non posso farlo di nuovo. Non ora che Alessia è arrivata con un libro pieno di storie!

Ok, allora cambiamo il programma della giornata.

«Bambini, Alessia ci ha dato un’idea: perché non scriviamo insieme delle storie e facciamo un giornalino con le storie della 1a B?»

L’idea viene accolta con entusiasmo. Per oggi scegliamo una delle storie di Alessia e, con l’aiuto di tutti, la completiamo, arricchendola con altre idee, e correggiamo gli errori.

Ci confrontiamo poi su varie questioni: a chi consegneremo il giornalino, quando dovrà essere pronto, ogni quanto lavoreremo su una storia. Prepariamo una scatola in cui ognuno potrà, se e quando vorrà, inserire il proprio testo: ogni lunedì leggeremo il contenuto della scatola e sceglieremo una storia da sistemare e arricchire insieme.

Esco da scuola soddisfatta di aver colto l’occasione. La classe era molto partecipe e nell’intervallo alcuni hanno anche abbellito la scatola delle storie, con disegni e scritte. Il lavoro di revisione del testo è stato tutt’altro che facile: i bambini non sanno ancora scrivere in modo canonico e si devono aiutare a vicenda per inserire tutte le lettere e le sillabe giuste all’interno delle parole; una storia ha una sua struttura di cui bisogna tenere conto, con una situazione iniziale, uno svolgimento e una conclusione; emergono idee diverse sui fatti da inserire e bisogna mettersi d’accordo, selezionarli, riordinarli; i bambini non conoscono ancora la punteggiatura, che però in un testo è necessaria, e quindi iniziano con il mio aiuto a tentare di utilizzarla; emergono parole con le doppie, con l’accento, con l’apostrofo… quante cose con cui confrontarsi, quante occasioni per cominciare a riflettere su aspetti della scrittura ancora non noti!

Imparare a scrivere è una grande avventura. Nel libro “Chi ben comincia…” potete trovare riflessioni e proposte operative per accompagnare i bambini in questo affascinante percorso.

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Gli eBook aiutano

La collana RicercAzione offre a noi insegnanti un supporto importante non solo per le tre sezioni che identificano chiaramente quali obiettivi didattici ed educativi ci permettono di raggiungere, ma perché fa superare la solitudine in cui spesso ci sentiamo relegate/i. Ci apre la possibilità di un confronto tra colleghi, sia sulle riflessioni teoriche e metodologiche, che mostrando in modo dettagliato le azioni che ne sono derivate attraverso la documentazione di esperienze realizzate in alcune classi. 

Altri punti a favore della collana, e non da sottovalutare, sono il formato e il prezzo delle pubblicazioni. Il formato ci consente di scaricarli agilmente e di averli a disposizione con rapidità, appena li scopri, con un costo abbordabile.

Speriamo che questo ci consenta di crescere cooperando! 

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Il mondo, la scienza e i bambini

La lettura del libro “Chi vince al tiro alla fune” ci conduce ad un approccio all’educazione scientifica molto diverso da quello che si pratica ancora in molte scuole sia dell’infanzia che primarie. Documentare conversazioni e azioni con i bambini fa parte di una sperimentazione didattica su alcuni argomenti di scienze che col tempo è diventata pratica usuale nelle classi degli insegnanti che hanno seguito il percorso formativo proposto da anni dalla professoressa Maria Arcà. Mettere in pratica questa metodologia di lavoro presuppone che l’insegnante dedichi tempo a studiare e a progettare prima di presentare in classe uno qualsiasi dei temi: solo così può elaborare una rete di concetti e di relazioni per indirizzare e guidare il lavoro.

Ecco una pagina significativa tratta da uno dei paragrafi introduttivi.

Il ruolo di un insegnante che vuole lavorare sulle scienze dovrebbe essere principalmente quello di:

a) sollecitatore di problemi (provocatore)
b) controllore di coerenza (una specie di interlocutore un po’ tonto e pedante che prende sempre alla lettera i discorsi, li fa a pezzetti e controlla se filano o se ci sono delle contraddizioni; e questo indipendentemente dalla correttezza del contenuto).

Ecco un esempio, conversazione tra insegnante e bambini:

Ins: Chi fa più forza, Luca che deve reggere un sacco di patate o il banco che regge due bambini seduti sopra? (Provocatore).
Sara: Luca, non lo vedi che suda?
Luca: No, il banco, perché regge di più.
Debora: Il banco non fa forza, Luca.
Sara: Luca deve fare sempre più forza, il banco deve fare sempre la stessa forza.
Ins: Se Luca deve fare sempre più forza vuol dire che allora le patate pesano sempre di più? (Controllore di coerenza).
Sara: No. Ma per Luca sì, perché si stanca.
Luca : Ma la forza non la fanno solo le cose che si stancano.
Mass: Mio padre non si stanca mai.
Sara: Dipende, se deve spingere la macchina…
Luca: La metti in discesa, così va da sola.
Ins: Ma allora, così, tuo padre non la spinge affatto. Grazie che non si stanca.

Se le discussioni diventano lunghe si possono interrompere, senza spegnere l’interesse dei discorsi.
È chiaro che oltre a sollecitare problemi e a controllare coerenze, l’insegnante deve svolgere una funzione di guida, sistematica ed intenzionale.
Più che fare una lezione si lavorerà in classe per proporre, accanto a quelle dei bambini, nuove coerenze che possono dar conto meglio dei fatti che si sono studiati.

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